Open Innovation Summit 2021 | Intervento di Lorenza Morandini

Lorenza Morandini/ Luglio 12, 2021/ interviste, News, Open Innovation

OPEN INNOVATION SUMMIT 2021 | INTERVENTO DI LORENZA MORANDINI

Lo scorso 30 Giugno, in qualità di Vicepresidente di Impact Hub Società Benefit, insieme a Marco Nannini, ho avuto il piacere e l’onore di intervenire all’Open Innovation Summit 2021, a cura de Il Sole 24 Ore, powered by Digital Magics, in collaborazione con 24 ORE Eventi.

Di seguito il mio intervento in occasione della tavola rotonda: “Il Ponte che serve davvero all’Italia per unire aziende italiane, innovazione digitale e Startup e PMI innovative“, moderata da Luca De Biase de Il Sole 24 Ore, con Luigi Capello, Ceo e Co-founder LVenture Group; Claudio Berretti, Direttore Generale Tamburi Investment Partners e Angelo Coletta, Presidente InnovUp.

Ecco il mio intervento al minuto 2:32:31 del video 👇👇👇 

Luca De Biase: Una struttura come Impact Hub che si occupa di mettere insieme i pezzi per l’innovazione sociale oltre a molte altre cose, che messaggio ci dà?

Lorenza Morandini: Non si può essere pessimisti se si cerca di costruire anche un po’ il futuro della prossima generazione. Il messaggio fondamentale, più da un punto di vista dell’Open Innovation, è che l’innovazione sociale non è terzo settore.

L’innovazione sociale, quella che noi facciamo, è un’innovazione for profit.

Guardiamo startup altamente scalabili, altamente replicabili, che hanno tutti gli elementi che si devono avere nel normalissimo mondo del profit.

Io vengo da un passato in Boston Consulting, con 10 anni in grandi aziende, però mi sono trovata in questo momento della mia vita, ormai da qualche anno, di fronte ad una generazione che non è quella in cui sono cresciuta io, ma è una generazione che deve avere un purpose, grazie a dio mi viene da dire, perchè per fortuna non si tratta semplicemente di massimizzare il profitto, ma evidentemente è fondamentale trovare e creare delle aziende che generino valore nelle cose che fanno e nella società.

E questo può tranquillamente essere tutto ciò che è smart city, che cambia il nostro modo di vivere, può essere tranquillamente digitale e andare al tempo stesso ad aiutare per esempio le persone diversamente abili.

In realtà, riguardo all’Open Innovation, vorrei portare il punto di vista di una persona che è stata nelle grandi aziende a vario titolo, internamente come dirigente o come consulente del CEO per una ventina d’anni.

Le aziende hanno un linguaggio completamente diverso, quando si approcciano all’innovazione, prima di tutto vogliono utilizzarla per temi di marketing, che per fortuna come hanno detto i relatori prima di me è un tema ormai superato. Però quando osservo le aziende che si approcciano al mondo dell’innovazione, rilevo un problema di linguaggio.

Confondono il tema della sostenibilità, del riciclo del rifiuto o dell’impatto ambientale con quelle che magari sono delle azioni di green washing, tipo diamo ai dirigenti l’auto elettrica.

Evidentemente c’è un problema culturale su cui non solo bisogna essere ottimisti, ma bisogna avere grande resilienza, non perdere la forza, la voglia, la determinazione, la continuità nel tempo nel fare queste cose.

Il mondo dell’innovazione, al di là dei numeri citati da Luigi anche sul venture capital (poi magari Angelo ne darà anche di migliori, perchè tanti dei numeri che ho è anche grazie al loro lavoro) è un grandissimo settore, che attualmente presenta 12.000 startup, oltre 200 incubatori, che hanno non solo l’obiettivo di creare impresa, ma anche di dare loro il linguaggio per parlare con le grandi imprese.

Perchè l’exit, in ultima istanza, spesso è la vendita ad una grande azienda.

Ma questo è un settore anche con oltre 60.000 persone che ci lavorano, un settore che inizia ad essere importante anche numericamente, senza, infatti, contare tutte le persone che si occupano di questo tema in varia forma all’interno delle imprese.

Quello che bisogna iniziare a fare è avere all’interno delle grandi o medie aziende (dove per grande azienda si intendono quelle dai 100.000.000€ in su) una “Funzione Open Innovation“. Chi ce l’ha, di fatto, poi impara a parlare, a dialogare, a portare dentro di sè le startup non solo con il capitale ma magari anche con contratti, con persone e quant’altro.

Quando io ho iniziato a lavorare c’era il problema della qualità della produzione e allora si creò la funzione qualità, ecco oggi bisogna portare dentro tutte le aziende, la “Funzione Open Innovation“.

Noi in Indesit (oggi entrata a far parte di Whirlpool) nel 2006 l’avevamo. Infatti tanti dei prodotti innovativi che trovate nelle vostre case sono quelle che vengono da quegli anni in cui avevamo esplorato nuovi materiali, nuove metodologie di lavaggio e quant’altro E c’erano degli ingegneri, degli scienziati che poi si scontravano con il duro mondo del conto economico, del lancio, degli investimenti. Due cose direi quindi, una che poi era quella su cui mi sollecitavi, che è necessario avere un purpose per andare ad attirare i migliori talenti: Non esistono migliori talenti che non abbiano questo in testa oggi, e dall’altro la “Funzione Open Innovation” dentro non una, non 100 aziende, ma 1.000, 10.000 aziende in Italia. Dovrebbe essere come la funzione qualità.

E da lì possiamo riprendere il viaggio ad una velocità diversa, di un ordine di grandezza superiore a quella attuale che comunque ci ha portato ad essere un bellissimo sistema. Tra l’altro in termini di energia, non so se riesco a bucare lo schermo, è veramente eccezionale.

Luca De Biase: Che gente è colui che gestisce la funzione dell’Open Innovation nelle 100, 1000, 10.000 aziende di cui stiamo parlando? É un ingegnere o è un filosofo? É un comunicatore o uno stratega? É un abilitatore o un controllore dei risultati quantitativi?

Lorenza Morandini: Quando parte un nuovo settore o una nuova azienda, lei pensi ad un imprenditore, è un po’ tutto questo. Quindi  in realtà un Innovation Manager, senza andare su titoli vari, nella sostanza è o un ingegnere pazzo o un filosofo strutturato o un project manager che ama i prodotti.

Mi ricordo in Indesit 15 anni fa c’erano veramente degli ingegneri pazzi che però poi riuscivano anche ad entrare in linea produttiva. Quindi avevano un po’ dell’ottica industriale o industrializzata, un pò l’ottica di prodotto, riuscivano a parlare con fornitori cinesi e rumeni.

É un po’ una sintesi, ha sia delle competenze verticali, di settore, tecniche in alcuni casi (nel fashion se vuoi non sono tecniche intese come quelle degli ingegneri, ma hanno dei loro tecnicismi) e dall’altro ha delle forti competenze relazionali, perchè il concetto di Open Innovation è un concetto di collaborazione e non esiste collaborazione senza confronto e senza il dono della parola.

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